Attività solidale o business profittevole quello della raccolta degli abiti usati? Dove vanno a finire gli indumenti una volta dentro i cassonetti gialli? Nelle mani di chi vengono affidati? Humana People to People Italia, associazione impegnata da sempre in questa filiera e Occhio del Riciclone Onlus hanno presentato un ampio studio sul tema “Indumenti usati: come rispettare il mandato del cittadino?”. Il rapporto mette sotto la lente di ingrandimento tutti gli anelli della filiera, dal momento della scelta dell’operatore della raccolta da parte delle amministrazioni comunali alla consegna degli indumenti da parte del cittadino fino alle ricadute sociali generate da questo gesto volontario.
Il percorso degli indumenti usati presenta ancora oggi alcuni meccanismi opachi che rischiano di inficiare il rapporto fiduciario con i cittadini che conferiscono i loro indumenti convinti di sostenere con la loro azione progetti di solidarietà. Eppure sono oltre 110mila le tonnellate di vestiti usati che vengono raccolte mediamente ogni anno in Italia, con un giro d’affari di circa 200 milioni di euro, ma nella maggior parte dei casi, quando i cittadini conferiscono i loro sacchetti nel cassonetto giallo, questi valori sono ignorati.
Per queste ragioni diventano indispensabile una maggiore informazione da parte degli operatori, per fare chiarezza in maniera definitiva sul percorso che compiono i capi di vestiario, maggiori controlli per scongiurare il rischio di traffici illeciti, una legislazione più chiara e puntuale. Basti pensare che nei bandi di gara per l’assegnazione del servizio per la raccolta non viene richiesto né un certificato antimafia, né chiarimenti sull’utilizzo che di quei vestiti verrà fatto con il rischio di lasciar spazio a soggetti che alimentano la pratica del contrabbando o il traffico illecito di rifiuti.