Nel contesto di una crisi geopolitica che rimette al centro le fragilità di rapporti internazionali, economici e politici, l’Assemblea annuale di Federmanager 2023 ha voluto affermare “A gran voce”, come sottolinea il titolo, l’ambizione di ripartire dal valore della competenza per rilanciare la nostra industria e costruire un’Italia competitiva.
“Il tenore delle sfide che abbiamo davanti ci impone di rinnovare la nostra strategia di politica industriale, di promuovere l’innovazione e la conoscenza e di favorire la crescita dimensionale delle imprese e il rientro delle produzioni strategiche. Indispensabile per fare questo è mettere al centro la competenza superando alcuni paradossi che ne ostacolano le potenzialità”. Demografia, transizione ecologica, intelligenza artificiale, skill mismatch, sostenibilità finanziaria, sono alcuni dei temi cheil Presidente di Federmanager Stefano Cuzzilla ha messo al centro dell’Assemblea dei dirigenti italiani, che ha visto la partecipazione di Antonio Tajani, vicepremier, ministro degli Esteri e della Cooperazione internazionale; Matteo Salvini, vicepremier, ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti; Adolfo Urso, ministro delle Imprese e del Made in Italy; Luca Ciriani, ministro per i Rapporti con il Parlamento e Paolo Zangrillo, ministro per la Pubblica amministrazione.
“Il primo paradosso sulla competenza è che tutti la invocano, ma in pochi la riconoscono e sempre in meno la premiano”. Al primo gennaio di quest’anno 6 milioni di italiani hanno lasciato l’Italia, un fenomeno in aumento del 2,2% rispetto al 2022. In media, ogni 100 giovani, 10 decidono di andarsene. “È necessario in primo luogo – afferma Cuzzilla -, invertire il trend di investimenti pubblici aumentando quel 4,1% del Pil che destiniamo al sistema dell’istruzione oggi sotto la media Ue, responsabile, tra le altre cose, di un tasso di abbandono scolastico che nel Mezzogiorno sfiora il 15%. È necessario, poi, valorizzare i talenti dotandosi di programmi di scale-up delle competenze concorrenziali a quelli degli altri Paesi, e poi trattenerli qui”. Come? La priorità per Cuzzilla è la questione retribuzioni: “Gli stipendi italiani sono bassi, troppo bassi e da troppo tempo. E non è solo una questione di taglio del cuneo fiscale, su cui ci diciamo favorevoli. Apprezziamo lo sforzo finanziario che lo sorregge, ma riteniamo che tanto il privato quanto la pubblica amministrazione debbano trovare nella contrattazione collettiva e nella contrattazione di secondo livello un volano per l’adeguamento delle retribuzioni verso l’alto. È solo nel lavoro di qualità e ben pagato che può trovare corrispondenza la competenza di cui tutti sentiamo il bisogno”.
“Strettamente correlato è il paradosso dello skill mismatch”. Le imprese determinate ad assumere non trovano sul mercato le competenze che cercano, nonostante gli oltre 500mila posti di lavoro in più registrati quest’anno. Il mismatch avviene a ogni livello: 1 posto su 2 è vacante e in prevalenza riguarda figure tecnico-ingegneristiche e operai specializzati. Le cause prevalenti sono la mancanza di candidati e la preparazione inadeguata. Per i manager, lo stesso: 1 impresa su 2 fa fatica a trovare profili manageriali e, in tema di competenze, oltre il 75% dichiara di avere difficoltà a individuare le caratteristiche manageriali che valuta necessarie a gestire un processo, un’area o un cambiamento, come ha rilevato l’Osservatorio 4.Manager.
“Vedo due rimedi possibili – spiega il Presidente -. Anzitutto far decollare il sistema delle politiche attive che dovrebbe basarsi sul combinato di formazione mirata del lavoratore e strumenti efficaci per l’incrocio tra domanda e offerta. Il secondo chiama in causa la grande minaccia demografica che ci porterà nel 2050 ad avere un rapporto tra individui in età lavorativa e restante popolazione di uno a uno, mentre oggi è di circa tre a due. Per questo la cosa più importante è riconoscere ai giovani opportunità professionali coerenti con le loro aspirazioni e con le esigenze delle imprese, dare il massimo supporto a chi decide di essere genitore con misure stabili, orientare il lavoro verso l’alto e verso il futuro, avendo chiari i fabbisogni di competenza adeguati ai cambiamenti epocali in atto e finanziare dei piani formativi corrispondenti”.
“Poi c’è il paradosso delle nuove tecnologie: l’intelligenza artificiale è più brava della maggioranza di noi. L’impatto dell’AI sulle nostre vite è potente – dice Cuzzilla -, ad essa sono legate questioni occupazionali, etiche, di privacy e di sicurezza nazionale che impongono di considerare questa sfida oltre la dimensione economicistica”. Per ora, facendo le dovute eccezioni, il mondo produttivo sembra in ritardo: in Italia, l’Intelligenza artificiale è adottata dall’1,5% delle piccole imprese e dal 12% di quelle con più di 250 dipendenti. Il rischio di accelerare la segmentazione e la diseguaglianza produttiva del nostro sistema imprenditoriale, tra piccole e grandi imprese, tra Nord e Sud, tra settori tecnologici e settori tradizionali, è alle porte. Due sono le strategie d’attacco individuate: “La prima riguarda gli incentivi all’investimento in capitale umano che devono andare di pari passo con quelli per le tecnologie abilitanti. Ricordo che il piano Industria 4.0 non ha espresso tutte le sue potenzialità proprio perché aveva trascurato di sostenere l’investimento sulle persone. La seconda azione riguarda la cooperazione tra Stati. Esattamente come è accaduto per la comunità scientifica in risposta allo shock pandemico, la comunità tecnologica può e deve lavorare assieme per il progresso della civiltà”.
L’ultimo paradosso è quello legato al tema della transizione sostenibile. L’Italia è leader nell’economia circolare, e vanta la più alta percentuale di riciclo sulla totalità dei rifiuti (83,4%), trenta punti percentuali in più rispetto alla media europea. Negli ultimi cinque anni oltre 500mila imprese hanno investito nella green economy. Nonostante questo, ci sono tante piccole imprese che faticano a innovare a causa della mancanza di professionalità specifiche. “Anche in tema di competenze richieste è in corso una riconversione che porterà a formare milioni di persone a posti di lavoro “verdi” – dichiara il Presidente – con la diffusione in azienda del manager della sostenibilità che è una figura chiave in questa transizione che noi in Federmanager formiamo e certifichiamo. La sostenibilità – afferma Cuzzilla – è la strategia vincente del presente, non del futuro”.
In conclusione, “A gran voce” Cuzzilla indica le priorità per rinnovare la strategia di politica industriale: “Per prima cosa dobbiamo allentare il carico normativo e burocratico, poi investire su asset strategici che costituiscono l’eccellenza italiana nel mondo e capitalizzare le imprese con opere tangibili come infrastrutture, reti e collegamenti”. Cuzzilla ricorda, infine, che dobbiamo riconsiderare in termini di risorsa anche la nostra posizione nel Mediterraneo come porta d’Europa. “Per riuscirci abbiamo bisogno di politiche europee di sintesi capaci di coordinare gli investimenti degli Stati membri affinché alcune aree non diventino il traino di altre. In tal senso anche la Zes unica può diventare una risposta di politica industriale a patto che alleggerisca il Mezzogiorno dal peso del ritardo che ha accumulato. Non possiamo permetterci di essere un Paese arlecchino, perché l’unica chance che abbiamo di crescere è farlo insieme”.
L’evento è stato organizzato in collaborazione con IWS e Praesidium.