Come capita spesso per le parole “di moda”, l’uso sempre più ricorrente della parola “sostenibilità” è quanto mai estensivo.
Il concetto da cui deriva è quello di sviluppo sostenibile, battezzato nella seconda metà del ‘900: lo sviluppo è sostenibile se consente di soddisfare i bisogni di noi contemporanei senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i loro.
L’ambito generale della sostenibilità si compone di tre dimensioni tra loro fortemente interconnesse: sostenibilità sociale, economica e ambientale. L’intreccio armonico tra queste tre dimensioni è la base per scelte strategiche dei soggetti economici capaci di creare valore per se stessi, per le comunità di riferimento, per l’intera società, senza compromettere il benessere delle generazioni future.
La sostenibilità è una responsabilità dell’impresa
La sostenibilità applicata alle imprese indica il grado di “utilità” sociale, ambientale e civile dell’attività di un’impresa: quanto più essa produce vantaggi non solo per chi ne è proprietario ma anche per i suoi stakeholder e in generale per la collettività, tanto più è “sostenibile”.
Utilizzato in questo senso, il termine ha pochi decenni di vita e deriva dal concetto di “responsabilità sociale d’impresa”, che in Italia ha cominciato a circolare nel discorso pubblico sulla vita economica a partire dagli anni ’60 del secolo scorso.
La sostenibilità di un’impresa riguarda, come detto, diversi ambiti: quello dei benefici sociali ed economici recati ai suoi stakeholder e alle comunità di riferimento, quello dell’impatto ambientale – negativo o positivo – dei beni e servizi prodotti e dei relativi processi produttivi; quello della correttezza e trasparenza dei sistemi di governance.
Come misurare la sostenibilità di un’impresa? Con il Bilancio di sostenibilità
Strumento principale per misurare e comunicare i livelli di sostenibilità di un’impresa è il Bilancio di sostenibilità. Oggi in Italia sono centinaia le imprese che predispongono e rendono pubblico ogni anno, accanto al Bilancio contabile, un Bilancio di sostenibilità. Si tratta di un atto compiuto su base volontaria, tranne che per alcune specifiche categorie di imprese – banche, società di assicurazione, società quotate con più di 500 dipendenti e che presentino ricavi netti pari ad almeno 40 milioni e/o uno stato patrimoniale pari ad almeno 20 milioni – per le quali da alcuni anni (a seguito della Direttiva n. 95 del 2014, recepita in Italia nel dicembre 2016) è divenuto un adempimento obbligatorio.
Il Bilancio di sostenibilità “fotografa” dunque il rapporto tra impresa e società sul piano sociale e ambientale, e sempre di più si va affermando come un presupposto irrinunciabile sia quanto a “reputazione” esterna sia in termini di marketing e competitività.
Cosa misura un Bilancio di sostenibilità?
Base per la predisposizione del Bilancio di sostenibilità sono gli indicatori economici, sociali e ambientali proposti dalla GRI, la “Global Reporting Initiative”, organismo indipendente riconosciuto dall’Onu. Gli indicatori di sostenibilità come definiti dalla GRI rimandano direttamente a più generali criteri di sostenibilità: i 17 “Sustainable Development Goals” – gli obiettivi di sviluppo sostenibile al 2030 fissati dalle Nazioni Unite (SDGs) e gli ESG (“Environmental, Social and Governance”), fattori per misurare la qualità, l’efficacia, la redditività dell’attività d’impresa in rapporto all’utilità che essa genera oltre il perimetro stretto di proprietari e azionisti.